Luca Rota nel suo blog riporta la dichiarazione degli amministratori locali del comune di Vezza  d’Oglio in Val Camonica riguardo un progetto di “ponte tibetano” del costo di due milioni di euro. Per gli amministratori locali  il ponte tibetano è: “un’opera necessaria per creare un effetto WOW che oggi manca al  paese”. 

Da quando i sondaggi hanno scoperto che il 43% degli italiani cerca paesaggi suggestivi e bellezze naturali (e senza porsi alcuna domanda sul perché sta emergendo tale bisogno) anche in Veneto la  ricerca dell’effetto “wow” sembra essere l’unico obiettivo che gli amministratori locali perseguono. Il territorio Veneto  è diventato così come un “enorme capannone territoriale a cielo aperto” di 18345  chilometri quadrati dove si progettano e confezionano prodotti turistici che abbagliano, che fanno, appunto, esclamare: “wow”. La dimensione del consumismo si è  così impadronita  anche del “bisogno di natura” e viene usata in funzione del PIL. La “natura” diventa, in questa visione,  il  “fattore produttivo” di questo “enorme capannone territoriale  a cielo aperto” perdendo le sue due caratteristiche principali:  essere un bene di cui godere e fruire in modalità che non le facciano  perdere la sua anima  ed essere un bene da proteggere per il suo “apporto ecosistemico” e paesaggistico senza intermediazioni tecnologiche  e logistiche. Tale attività produttiva presenta due classi merceologiche: il “prodotto urbanistico wow”  e il “prodotto localizzato wow”. Il primo, confezionato con nastrini e ciocche green, ha una dimensione  macro nei suoi effetti, diciamo di “area vasta”:  si va dall’organizzazione di  grandi eventi dagli effetti mortali  per gli ecosistemi alpini come le Olimpiadi Invernali 2026  in un sito Patrimonio dell'Umanità,  passando per la legge regionale n. 29 del 25 luglio 2019 che consente in zona agricola (in un sito con le bollicine Unesco)  di trasformare in  strutture ricettive  le vecchie casere  con possibilità di ampliamento fino a 120 metri cubi, per finire alla modifica  dell’art. 27 ter “Strutture ricettive in ambienti naturali” della legge regionale 14 giugno 2013 numero 11, che prevede “l’arrivo in quota delle “stanze panoramiche” e la possibilità di realizzare strutture ricettive, alla pari di malghe, rifugi e bivacchi alpini, anche sopra il limite, posto dall’attuale normativa urbanistica regionale  di 1600 metri. La cecità che condiziona tali  amministratori è pari al consenso e all’indifferenza che la maggioranza dei veneti riversa copiosamente verso questo  graduale e diffuso deturpamento del bel paesaggio veneto di un tempo.  

Accanto al “prodotto urbanistico wow”, un prodotto per così dire di “area vasta, c’è il  “prodotto localizzato wow”,  che è più delimitato come spazio, ma diffuso all’interno del “capannone territoriale veneto a cielo aperto”. Vediamo alcuni esempi. Si va dal  consentire (da decenni purtroppo) il parcheggio a pagamento a migliaia di auto ai piedi delle Tre Cime  di Lavaredo  (e i “schei” vanno  al fortunato comune che ospita un tesoro unico naturale di cui non ha alcun merito) alle “big bench”, panchine giganti (confidando, ingenuamente, che chi le ha installate le tolga quando si arrugginirà  il loro fascino e il metallo di cui  sono fatte), per finire ai “ponti tibetani” (mentre magari  si lasciano  andare in rovina muretti a secco e  sentieri di quel territorio non manutenendoli e lasciandoli avvolgere da rovi, acacie e ortiche fino a renderli impenetrabili).  

Davanti al progetto di uno di questi “prodotti localizzati wow”, che prevede  l’allestimento in un laghetto (lago di Lago) di appena 0,5 km2 di una piattaforma galleggiante di 1000 mq di cui 600 mq calpestabili  (misura 4: cortile frattale) atta ad  ospitare eventi e attività culturali e una passerella (misura 5: passerella lungo lago) che per  600 metri lineari correrebbe sull’acqua  parallela alla riva e a un prezioso canneto, un gruppo di   cittadini della comunità dei laghi di Revine/Tarzo  ha risposto: “no, grazie!” Per un attimo mi sono unito  a questa “wowmania”  e mi son detto: wow, meno male che c’è qualcuno che si oppone a questa degenerazione del turismo. 

Allo sfruttamento commerciale della natura, anche  in questo esempio di “prodotto localizzato wow”, si vuole, ovviamente, dopo aver dato una “patina green”, offrire una “giustificazione filosofica” secondo la quale gli interventi sono  finalizzati a ripopolare i borghi di collina e di montagna. Ma la strada che si sceglie va nella direzione opposta: non fermano lo spopolamento e lasciano rovine e scempi irreversibili.

Per rivitalizzare i paesi e i borghi bisogna partire dalla loro storia: una storia da  leggere attraverso i vecchi muri scrostati delle abitazioni vuote dietro i quali si celano identità e umanità perdute. Bisogna andare incontro al vissuto storico, antropologico, alle tradizioni, agli usi e costumi dei paesi e dei borghi  che si stanno spopolando. Per rivitalizzare i paesi e i borghi bisogna partire dalla loro geografia: percorrendo i  sentieri fiancheggiati dai vecchi muretti  a secco in rovina o  le stradine silenziose un tempo piene di vita vissuta. Recuperare il sentimento dei luoghi è un modo per recuperare “vecchie soggettività” e gettare un ponte tra queste e   nuove soggettività giovanili.  Solo costruendo questo “ponte intergenerazionale” i paesi e i borghi possono riprendere  una nuova vita nella “ricerca” di  una “strada alternativa” nell’epoca  odierna “digital-tecnocratica”, ove domina un consumismo di massa, spersonalizzante, drogato da una sovrapproduzione  di  immagini improntate a un edonismo che  nasconde nuove solitudini.  Per  un giovane scorgere l’anima di un luogo può essere un modo per scoprire anche la propria anima, la propria soggettività e trovare il modo di  esprimersi dando vita a luoghi in abbandono.  I vecchi borghi e i vecchi paesi che si stanno spopolando hanno bisogno di intercettare le aspirazioni e le inquietudini dei giovani, di proporre loro un nuovo modo di fare comunità, condividendo  delle rievocazioni che sappiano unire il passato al presente e  rispondere al bisogno di “sentimento” e di “socialità” non solo virtuali delle nuove generazioni. C’è bisogno che i soldi che si spendono per i “prodotti turistici wow” vengano investiti nella incentivazione a giovani coppie per  la ristrutturazione  a scopo residenziale di vecchie abitazioni, nel favorire  forme di  “cohousing” che ben si sposerebbero con l’atmosfera dei borghi,    nei servizi alle famiglie, nella frequenza delle corse dei mezzi pubblici, nel supporto ai negozi di prossimità, insomma:  una serie di misure  che aumentino la qualità della vita e l'aggregazione di  comunità da far rinascere. 

Schiavon Dante