Uno studio americano ha analizzato l’andamento delle popolazioni di vertebrati misurando l’efficacia delle politiche di tutela territoriale.

La protezione di ampie porzioni di territorio può contribuire ad arginare la perdita di biodiversità, con risultati ragguardevoli per i vertebrati come anfibi, rettili, mammiferi e uccelli. Lo segnala uno studio condotto dallo Smithsonian Environmental Research Center (SERC) e da Conservation International.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, ricorda come l’attività umana abbia accelerato il tasso di estinzione naturale dei vertebrati di 22 volte. Un fenomeno capace di destabilizzare le reti alimentari mettendo a rischio servizi fondamentali come l’impollinazione, la disponibilità di una dieta sana e il controllo delle malattie.

Nelle aree non protette la popolazione di vertebrati si dimezza in 40 anni

I ricercatori, guidati da Justin Nowakowski, biologo del SERC e autore principale dello studio, i hanno esaminato l’andamento nel tempo di 2.239 popolazioni, sia all’interno che all’esterno delle aree protette in tutti i continenti del Pianeta con l’eccezione dell’Antartide.

In media, i vertebrati sono diminuiti dello 0,4% all’anno all’interno delle aree protette, quasi cinque volte più lentamente degli esemplari che abitavano al di fuori di esse (1,8% all’anno).

A questi ritmi, rilevano i ricercatori, le popolazioni al di fuori delle zone di tutela potrebbero vedere il loro numero dimezzato in soli 40 anni. Per andare incontro allo stesso destino, proseguono gli autori, le aree protette impiegherebbero invece circa 170 anni.

Le crisi gemelle

Secondo Luke Frishkoff, coautore e assistente alla cattedra di biologia dell’Università del Texas ad Arlington, citato in una nota diffusa dal SERC, le politiche di protezione dei territori ci consentono di “guadagnare il tempo necessario per capire come invertire la crisi della biodiversità”. Il problema è al centro dell’attenzione da anni. Anche per via delle sue ricadute economiche.

Alcuni osservatori, infatti, hanno iniziato a definire il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità come “le crisi gemelle che affliggono il sistema finanziario”.

Una recente indagine commissionata dal governo britannico e nota come “The Dasgupta review“, in particolare, ha sottolineato come “il nostro sistema economico sia dipendente dalla biodiversità”. Da tempo, nota ancora l’indagine, i governi hanno riconosciuto come la duplice emergenza legata a clima e varietà delle specie, rappresenti “una minaccia esistenziale per la natura, le persone, la prosperità e la sicurezza”. Politiche di tutela e scelte di investimento in linea con le medesime, di conseguenza, diventano decisive per scongiurare i danni ambientali e le perdite finanziarie.

Il cambiamento climatico sta aggravando il problema

Secondo gli autori alcune classi di vertebrati avrebbero beneficiato maggiormente degli effetti della protezione. Anfibi e uccelli, che in circostanze normali sono chiamati ad affrontare le minacce più grandi all’esterno, avrebbero ottenuto i maggiori vantaggi dalla limitazione dell’impatto umano.

Tuttavia, alcuni fenomeni come la conversione agricola dei terreni vicini avrebbero determinato una diminuzione dei benefici e il cambiamento climatico starebbe aggravando il problema.

Infine un avvertimento: per funzionare bene le aree protette necessitano di un governo stabile ed efficace. “Le nazioni con governi efficienti spesso vedono una migliore applicazione delle leggi ambientali”, sottolinea la nota. “I governi immuni alla corruzione sperimentano più difficilmente l’appropriazione indebita di fondi per la conservazione. E hanno quindi più probabilità di ottenere risorse a livello internazionale”.

Fonte: resoilfoundation.org di Matteo Cavallito